ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN COMMISSIONE 7/00778

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 583 del 08/02/2012
Abbinamenti
Atto 7/00759 abbinato in data 09/02/2012
Atto 7/00777 abbinato in data 09/02/2012
Atto 7/00781 abbinato in data 29/02/2012
Firmatari
Primo firmatario: DIONISI ARMANDO
Gruppo: UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO
Data firma: 08/02/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
LUSETTI RENZO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 08/02/2012
LIBE' MAURO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 08/02/2012
BONCIANI ALESSIO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 08/02/2012
MONDELLO GABRIELLA UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 08/02/2012


Commissione assegnataria
Commissione: VIII COMMISSIONE (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI)
Stato iter:
IN CORSO
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO PARLAMENTARE 09/02/2012
MARIANI RAFFAELLA PARTITO DEMOCRATICO
LANZARIN MANUELA LEGA NORD PADANIA
MONDELLO GABRIELLA UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO
 
INTERVENTO GOVERNO 09/02/2012
D'ANDREA GIAMPAOLO SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
INTERVENTO GOVERNO 29/02/2012
D'ANDREA GIAMPAOLO SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 29/02/2012
MARIANI RAFFAELLA PARTITO DEMOCRATICO
DIONISI ARMANDO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO
PIFFARI SERGIO MICHELE ITALIA DEI VALORI
LANZARIN MANUELA LEGA NORD PADANIA
 
DICHIARAZIONE GOVERNO 29/02/2012
D'ANDREA GIAMPAOLO SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 09/02/2012

DISCUSSIONE IL 09/02/2012

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 09/02/2012

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 29/02/2012

DISCUSSIONE IL 29/02/2012

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 29/02/2012

Atto Camera

Risoluzione in Commissione 7-00778
presentata da
ARMANDO DIONISI
mercoledì 8 febbraio 2012, seduta n.583

La VIII Commissione,

premesso che:

le attività di protezione civile appartengono ad un settore cruciale per il Paese: quello della sicurezza dei suoi abitanti, degli insediamenti, delle infrastrutture. Come emerge in modo chiarissimo anche a seguito degli eventi di questi giorni, l'Italia è e rimane un Paese particolarmente esposto a rischi di origine naturale (terremoti, eruzioni vulcaniche, alluvioni e frane, eventi atmosferici estremi) e derivanti dalle attività umane (rischio di incidenti in impianti industriali, nel trasporto di sostanze pericolose, rischi ambientali);


alcuni di questi fenomeni consentono un adeguato preannuncio, altri, anche per ragioni connesse alla loro stessa natura, no. Ma tutti, indistintamente, possono essere prevenuti adottando politiche volte a mitigarne le conseguenze: un'edilizia attenta e rispettosa dei vincoli ambientali, nelle aree a rischio idrogeologico o vulcanico, così come delle regole tecniche nelle aree sismiche; un'impresa ligia alle regola di sicurezza che disciplinano determinati processi produttivi ad alto rischio; una popolazione informata sui rischi che incombono nei territori in cui risiede e preparata a fronteggiarli adottando comportamenti auto-protettivi adeguati. E, su tutto, un sistema di protezione civile che sappia aprire lo sguardo e curarsi anche di previsione e prevenzione dei rischi e non solo di soccorso ed emergenza;


queste intuizioni erano ben presenti nel legislatore quando, nel 1992, varò la legge n. 225, che raccoglieva oltre 10 anni di dibattito e vivace confronto. Di quella legge si celebra tra pochi giorni il ventesimo anniversario (entrò in vigore il 24 febbraio 1992). Sulla scorta di esperienza drammatiche del passato (una tra tutte: il sisma che sconvolse l'Irpinia nel 1980), si ebbe l'accortezza di fissare i tre punti essenziali per costruire una protezione civile efficace, adatta ad un Paese come l'Italia:


a) specificare che «protezione civile» significa non solo intervento e soccorso in emergenza, ma significa, prima di tutto, conoscenza dei fenomeni e dei territori, capacità previsionali e politiche attive di prevenzione e mitigazione dei rischi;


b) chiarire che la protezione civile è «affare di tutti», coinvolgendo nel Servizio nazionale che costituisce il sistema italiano tutti i livelli di governo, dai comuni allo Stato, tutte le strutture ed i corpi operativi, a partire dai vigili del fuoco e dalle Forze Armate, la società civile con la fondamentale risorsa del volontariato specializzato di protezione civile, che affonda le sue radici in secoli di storia, la comunità tecnica e scientifica nazionale, il sistema delle imprese che gestiscono le reti ed i servizi essenziali e gli ordini professionali;


c) incardinare il coordinamento di questa molteplicità necessaria di soggetti nei vertici dei rispettivi livelli di governo: i sindaci, i presidenti delle regioni, il presidente del Consiglio dei ministri;


le attività di protezione civile, di una protezione civile «intelligente» sono dunque disseminate in una molteplicità di soggetti di natura, missione, struttura organizzativa e capacità profondamente diverse. Nessuna delle componenti può sintetizzare in sé stessa tutte le altre e nessuna amministrazione può disporre - al suo interno - di professionalità energie e risorse tanto diverse tra loro;


anzitutto perché deve essere preservato il processo in fasi successive: previsione, prevenzione, soccorso e ricostruzione. E inoltre perché anche solo le dimensioni delle conseguenze dei fenomeni calamitosi che possono verificarsi sul territorio italiano sono tali da non poter essere rimesse ad un solo «risolutore»: la stessa attività di «soccorso» non può essere assolta con efficacia da un'unica struttura, quando sono in gioco le vite, le attività, gli interessi molteplici e diversificati di ogni comunità organizzata;


l'emergenza di questi giorni ce lo conferma: il ripristino della viabilità, da quella autostradale a quella secondaria e locale, la riattivazione dei trasporti pubblici, la rialimentazione dei servizi essenziali, il supporto alle strutture deputate all'assistenza sanitaria, d'urgenza e non, l'assistenza alle popolazioni isolate e il soccorso urgente a chi si è venuto a trovare in imminente e concreto pericolo. Tutto questo non può che essere affrontato e gestito con uno sforzo corale;


sforzo nel quale, ai vari livelli, si inseriscono virtuosamente i volontari della protezione civile, che organizzati in associazioni di tradizione storica: dall'Associazione nazionale alpini alla Croce rossa italiana, dalle Misericordie d'Italia alle Anpas, dal Soccorso alpino e speleologico alla Società di salvamento alle tante altre organizzazioni che hanno saputo orientare la propria missione tramandata negli anni verso obiettivi nuovi, importanti ed attuali. Così come le tante organizzazioni nate in questi 20 anni, in particolare i gruppi comunali di protezione civile disseminati sull'intero territorio nazionale e che possono costituire il primo supporto tecnico ed operativo all'operatività dei sindaci;


questo sforzo corale si chiama coordinamento e - come tale - non può che essere incardinato nella struttura di massimo vertice della pubblica amministrazione. Quella struttura, la Presidenza del Consiglio dei ministri, che può indirizzare e guidare l'azione di tutti, senza che ciò comporti compressioni di autonomia, scavalco di responsabilità, spreco di risorse e uomini. Non è pensabile, infatti, attribuire ad una delle tante strutture in campo, caratterizzate da mission di settore e specifiche, il ruolo di coordinamento ed indirizzo che è proprio solo della Presidenza del Consiglio, che al suo interno ha costituito e consolidato negli anni il dipartimento della protezione civile, struttura trasversale «pensata» per il coordinamento di ambiti diversi e per questo funzionale allo scopo;


la protezione civile italiana nasce, se così si può dire, da un profondo bisogno di comunità e, allo stesso tempo, dalla profonda consapevolezza di quella stessa comunità: i rischi riguardano tutti, secondo il territorio, e la risposta efficace non può che essere di tutti;


questo modello è stato in grado di fronteggiare eventi calamitosi gravi e luttuosi, offrendo, spesso, al mondo la testimonianza concreta di un Italia efficiente, reattiva, preparata, efficace;


non a caso l'OCSE, nella sua opera di attento studio del nostro sistema, avviata in concomitanza con il terremoto dell'Aquila, così autorevolmente si esprime nel suo rapporto 2010 proprio dedicato alla protezione civile italiana: «La collocazione del Dipartimento della Protezione Civile nella Presidenza del Consiglio dei Ministri assicura che le risorse di tutti i ministeri, i governi locali e il settore privato possano intervenire rapidamente in modo coordinato per minimizzare le conseguenze di gravi disastri». E con chiarezza estrema afferma che «il sistema di protezione civile italiano di coordinare le risorse è particolarmente valido e lodevole alla luce della sua consolidata capacità d'azione»;


la riforma del Titolo V della costituzione e, ancor prima la cosiddetta «riforma amministrativa» avviata con la legge n. 57 del 1996 e il decreto legislativo n. 112 del 1998, dopo attenta riflessione, hanno confermato questo assetto, evindenziando, in particolare, il ruolo dei poteri locali: sindaci e regioni;


questo virtuoso processo di ampliamento della platea dei soggetti interessati e coinvolti si era concretizzato, all'inizio degli anni 2000, anche in utili strumenti operativi, come il «Fondo Regionale di Protezione Civile», istituito con la legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001) e che ha consentito in questi anni alle regioni di gestire le calamità di rilievo locale (eventi di tipologia «b», secondo l'articolo 2 della legge 225 del 1992) e di potenziare i sistemi locali. Sistemi locali che oggi e in queste ore si vedono pienamente operativi, dalle Marche al Molise, dall'Emilia-Romagna al Lazio e all'Abruzzo;


purtroppo quella legge non è più stata finanziata dopo il 2008 e su questo è urgente e necessario avviare subito una riflessione. Meno di 150 milioni di euro all'anno hanno garantito, nell'ultimo decennio, un incremento significativo della sicurezza dei territori. È necessario riprendere il cammino;


questa efficacia e capacità di intervento ha esercitato, negli anni, un forte potere «attrattivo». Azioni che nell'ordinarietà sembravano impossibili trovavano risposta sul campo della protezione civile. Ciò che il sistema Paese sembrava non in grado di realizzare nella sua ordinaria parcellizzazione, era invece a portata di mano quando cambiava il passo dell'azione, quando si avvertiva, grazie all'intervento di coordinamento, il senso dell'obiettivo comune. Quel senso che lo stesso Presidente del Consiglio, professor Monti, ebbe modo di esaltare in un suo articolo sul Corriere della Sera all'indomani dell'intervento nello Sri Lanka dopo lo tsunami, ripreso e citato molte volte, in questi giorni;


gli ambiti di intervento della protezione civile si sono quindi estesi, inglobando sempre più settori delle politiche pubbliche. Si badi bene: non era la Protezione civile a sostituirsi ai poteri ordinari cambiava il modo in cui quei poteri vedevano e interpretavano loro stessi nell'ambito della nostra Nazione. Si passava, e si passa ancor oggi, dalla logica delle competenze a quella della responsabilità. Della responsabilità comune;


questa estensione si è forse spinta oltre misura, giungendo a spingersi in settori in cui si sono corsi rischi di altro tipo e si sono registrate deviazioni dall'originaria direttrice di legalità, al momento in corso di accertamento da parte dell'ordinamento giudiziario;


e allora lo sforzo comune deve essere uno sforzo prima di tutto di intelligenza: capire cosa non ha funzionato e cambiarlo, ma, al tempo stesso, capire cosa ha funzionato e funziona e valorizzarlo, magari restituendo smalto ed incisività che sono stati appannati e ostacolati sull'onda emotiva dei fatti di cronaca;


la legge 26 febbraio 2011, n. 10 ha segnato un gravissimo punto di svolta. Il secondo, dopo l'abbandono del «fondo regionale di protezione civile». Con quella legge, infatti, si è proceduto alla demolizione delle fondamenta «buone» del sistema, anziché intervenire - come sarebbe stato opportuno e necessario - sull'eccessivo allargamento del raggio d'azione delle strutture di vertice del sistema;


non si è intervenuti, ad esempio, riducendo o sopprimendo del tutto quell'attività in occasione dei cosiddetti «grandi eventi» che è al centro dei maggiori processi in atto, ma si è, al contrario, caricato sulle spalle dei poteri locali l'onere dell'attivazione di emergenza, imponendo un assurdo ricorso alla tassazione regionale che smentisce frontalmente il carattere solidaristico e unitario che pervade tutto il nostro ordinamento giuridico, a partire dalla Costituzione;


non si è intervenuti per circoscrivere la durata degli stati di emergenza, spesso protrattasi per anni e anni, ma si è invece bloccata completamente l'attività operativa, proprio nelle prime fasi degli eventi, imponendo controlli e passaggi burocratici che risultano superiori addirittura a quelli ordinari;


è necessaria una discussione sul potenziamento del «sistema» di protezione civile che veda al centro il ruolo di coordinamento che è proprio e caratterizzante della funzione della Presidenza del Consiglio dei ministri, che veda al centro i poteri locali e i governi regionali, che veda al centro l'operatività dei corpi e delle strutture operative dello Stato deputati alla nostra sicurezza che, come i vigili del fuoco soffrono da anni una grave disattenzione in termini di risorse economiche. Così come occorre supportare il volontariato di protezione civile;


è necessario riflettere sull'opportunità di dedicare risorse economiche al sistema di protezione civile, cioè alla sicurezza di tutti;


fino al gennaio 2011 il dipartimento poteva autorizzare, in caso di emergenza, la massima operatività di tutti i livelli di governo e di intervento, assicurando ai sindaci ed alle strutture operative copertura giuridica ed economica. Oggi, dopo la legge n. 10 del 2011, non è più così e il coordinamento si vede indebolito nelle sue primarie prerogative. È urgente ripristinare quanto prima il sistema italiano di protezione civile,


impegna il Governo

ad assumere iniziative per potenziare l'attuale sistema della protezione civile, mantenendo la struttura sotto la diretta dipendenza della Presidenza del Consiglio dei ministri.

(7-00778)

«Dionisi, Lusetti, Libè, Bonciani, Mondello».